SUSY E LA BELLA EUROPA

2 maggio 2017

di Monica Di Sisto e Riccardo Troisi

Due anni di un lavoro che ha coinvolto 80 ricercatori, 550 interviste per raccontare 1100 esperienze e pratiche di economia sociale e solidale in 46 diversi territori dell’Europa e in 9 nel resto del mondo, dal Brasile alle Mauritius. Il progetto SUstainable and Solidarity economY,  più amichevolmente noto come Susy, racconta una trasformazione concreta e radicale dell’economia, dall’agricoltura ai servizi.

.

Un tavolo interparlamentare sull’Economia solidale, per capire, in questo scorcio di legislatura, quali sono i provvedimenti “a metà strada” che possono essere accelerati per rendere la vita delle organizzazioni solidali e dei territori che ne beneficiano un po’ più semplice. Poi inserire, nel Documento di programmazione economica e finanziaria attualmente all’esame del Parlamento, un capoverso che impegni questo e i futuri Governi a puntare al sostegno dei Distretti e delle reti di economia solidale, come strumento di risposta alla crisi nazionale. Sono questi i primi due risultati concreti ottenuti con la presentazione in Italia della Ricerca sull’economia solidale come economia trasformativa in Europa e nel mondo, che abbiamo coordinato coinvolgendo 80 ricercatori in 55 territori: 46 in Europa e 9 nel resto del mondo.

Individuare i semi dell’economia trasformativa nelle esperienze di economia sociale e solidale, provare a meglio definirla e identificare le dinamiche e le politiche che possono facilitarne la diffusione e il “contagio” nei confronti del tessuto economico, sociale e del contesto ambientale attuali profondamente in crisi, sono gli obiettivi che stanno alla base del progetto “Social & Solidarity Economy as Development Approach for Sustainability in EYD 2015 and beyond” con il quale si è puntato, più in concreto a “Contribuire ad aumentare le competenze delle realtà/reti che si occupano economia locale, cooperazione solidale e di Economia sociale solidale, in particolare rispetto al ruolo che può svolgere l’ESS nella lotta globale alla povertà e nella promozione di uno stile di vita equo e sostenibile”.

Uno degli strumenti per raggiungere questo obiettivo è stato il processo che ha portato all’elaborazione del Rapporto di Ricerca SSEDAS, presentato il 26 aprile scorso al Senato con gli interventi dei deputati Giulio Marcon e Stefano Fassina (Si-Sel), Chiara Scuvera (Pd), Filippo Fossati (Mdp), e le senatrici Elena Fattori (M5S) e Annamaria Parente (Pd). Da parte della società civile sono intervenuti, oltre a chi scrive, Giorgio Menchini (presidente Cospe), Roberto Brioschi e Loris Asoli (Rees Marche), Carlo De Angelis (Forum agricoltura sociale), Silvia Stilli (Arcs/Aoi), Soana Tortora (Solidarius7Res Roma), Alberto Castagnola (Res), Gabriella D’Amico (come Assobotteghe), poi Piero Carucci (Spagna), Virginia Meo (Es Salento), che hanno provato a raccontare le pratiche più significative di Economia Sociale e Solidale capaci di una progettualità innovativa ed orientata alla costruzione di un modello di sviluppo locale alternativo a quello dominante.

La ricerca ha coinvolto 32 paesi di cui 23 paesi membri dell’Unione Europea e 9 Paesi di America latina, Africa, Asia. Gli oltre 80 ricercatori hanno “mappato” oltre 1100 pratiche rilevanti di Economia sociale e solidale intervistando oltre 550 protagonisti di questi processi, tra i quali oltre 100 rappresentanti di autorità locali, nazionali e istituzioni internazionali. Attraverso la lente di questo mastodontico lavoro di ricerca e mappatura, emerge non soltanto una realtà, ma una visione, realizzabile in un futuro piuttosto ravvicinato, di grande interesse sociale e umano, che sarebbe un errore se non venisse valorizzata.

Quello dell’Economia sociale e solidale delineato non è un “programma di sviluppo” organico, sostanzialmente uguale in un numero così grande di territori e di Stati tanto diversi tra loro, tra i quali le distanze non sono solo geografiche. Rivela, però, che realtà analoghe sono emerse in pochi anni in società lontane, che valori profondamente umani stanno caratterizzando attività economiche così simili in alcuni contenuti e obiettivi concreti, soprattutto che un anelito verso relazioni interpersonali e collettive più ricche e innovative sia sostanzialmente comune in territori apparentemente agli antipodi.

Ad ogni latitudine considerata, tuttavia, il processo di economia sociale e solidale incrocia le intenzioni (almeno dichiarate) delle principali strategie di politica pubblica verso uno sviluppo sostenibile, attraverso la pratica concreta e quotidiana di alcune costanti: l’auto-organizzazione collettiva per sostenere la vita (umana e non umana); il coordinamento democratico delle imprese economiche e sociali; l’autonomia delle imprese; il lavoro e la proprietà collettiva e/o partecipata (sharing) all’interno di soggetti e reti; un’azione civica e sociale partecipativa all’esterno di questi soggetti e delle loro reti; formazione e apprendimento permanente; il fatto che la trasformazione sociale è incentrata sui bisogni dell’essere umano e sull’ambiente.

E’ come se una ricerca (così poco tradizionale, così facilmente condivisa malgrado gli ostacoli di lingua e di cultura) avesse scoperto una trama sottile e fragile, anche se formata da realtà così radicate nelle rispettive società, che segnala la sua presenza in un gioco di originalità e sensibilità che chiedono senza voce di evolvere e di entrare in contatto. E se ci trovassimo già in presenza di un embrione di modello sociale in grado di rispondere a tante esigenze umane da tempo trascurate, che dovesse solo essere curato e sostenuto per dar luogo, in un breve volgere di tempo, a misure, interventi, attività, nuovi lavori e cambiamenti mai prima ottenuti?

E non si tratterebbe di stimolare elaborazioni teorico-politiche o di inventare nuove forme di rapporti costruttivi tra pubblici poteri e esigenze sociali in scopertura, ma solo di alimentare attentamente i processi di collegamento, imitazione, riproduzione e moltiplicazione (già emersi anche se non previsti) di realtà che già hanno dimostrato ampiamente di sapere sopravvivere ed evolvere perfino in ambienti difficili od ostili. Se questo potenziale così attraente diventasse oggetto di riflessioni ed elaborazioni, non vincolate da discipline ed accademie, che considerassero il materiale raccolto un brodo di coltura che chiede solo di essere protetto e non ostacolato.

Soprattutto nei territori, come l’Italia, che sono più densi di esperienze alternative, con le migliori pratiche di più grande dimensione e con più esperienza, si intravede la possibilità di creare schemi economici territoriali più complessivi, che operino verso modelli di alternative reale, anche in modo sperimentale, partendo da un insieme di organizzazioni che abbiamo una conoscenza reciproca e specifici obiettivi (Distretti economici di solidarietà, piani condivisi di sviluppo agricolo locale, reti e filiere di economia cooperativa, ecc). Queste prospettive si proiettano oltre l’ambito della ricerca, ma possono trovare in essa il punto di partenza per progettare processi più complessi ed esigenti, come anche la possibilità di replicare più profonde trasformazioni, di grande interesse per la popolazione locale.

Nella attuale situazione di crisi economica prolungata, aumentano i campi nei quali solo un intervento coordinato di un certo numero di cooperative sociali, di attività economiche solidali, di gruppi informali e di organizzazioni di cittadini, può affrontare le difficoltà nelle quali si dibattono le comunità impoverite e le sacche marginalizzate, ingrossate dalle popolazioni in fuga o perseguitate. Più concretamente, le esperienze analizzate possono tutte costituire il motore di azioni non sporadiche di protezione e sostegno di comunità locali che cercano di tutelare i loro beni comuni e di garantire un futuro ai loro figli, specie quando i Governi sono distanti o progressivamente sempre più immersi in conflitti internazionali che non sembrano poter trovare soluzioni più immediate o conosciute.

Le esperienze selezionate e analizzate dalla ricerca, oltre alle indicazioni di merito emerse e illustrate nelle pagine precedenti, costituiscono tutte degli esempi che possono essere imitati nei Paesi coinvolti ma anche in tutti gli altri territori. Alcune delle esperienze analizzate fanno riferimento alla importanza del lavoro di rete, cioè alla necessità di collegare tra loro le realtà che operano in un determinato settore  e di procedere allo scambio di informazioni sui lavori svolti e sulle metodologie adottate. Non si tratta di una esigenza di comunicazione, ma di una condivisione ripetuta e sistematica che migliora e potenzia le attività svolte da ciascun gruppo e permette di superare delle soglie critiche della conoscenza che ogni cultura ha delle attività in corso e aumenta il potere di incidere sulle rispettive società. Le reti possono anche essere multisettoriali, cioè comprendere esperienze che pur non svolgendo lavori analoghi, ritengono di ispirarsi a principi comuni, oppure essere delle filiere, unire cioè delle attività che si svolgono ognuna a monte o a valle di altre e quindi essere molto interessate a scambi e integrazioni, oppure a indirizzarsi a destinatari comuni.

L’eventuale “modello” evolutivo non potrà provenire dall’esterno e tanto meno essere imposto, ma sarà costituito solo dalla germinazione spontanea di tante realtà che hanno ampiamente dimostrato di essere vitali ed utili. Solo riprodurre in ogni territorio tutte le “migliore pratiche” emerse in alcuni di essi, solo garantire la moltiplicazione illimitata di tali pratiche in tutti i territori, solo riprodurre le norme e le misure che si sono già dimostrate utili in alcune zone, già costituirebbe una base molto solida di questo “modello”. Ma le potenzialità che sono implicite nella interazione e nello scambio tra esperienze originali sono solo immaginabili, si deve solo decidere che stimolare e sostenere tali processi è una prospettiva non eludibile.

Questa è “una bella Europa”: persone in carne e ossa che stanno promuovendo azioni di base non sporadiche di sostegno delle comunità locali per proteggere il loro patrimonio comune e garantire un futuro per i propri figli. Le esperienze efficaci in questi campi non sono tante, ma la necessità di replicare e moltiplicare rapidamente questi tipi di azioni sta diventando sempre più evidente e urgente e in alcuni Paesi sono le uniche vie concrete per cercare di uscire nel medio periodo dalla crisi globale senza moltiplicare le perdite materiali e immateriali.

L’economia sociale e solidale è, insomma, un nuovo attore sociale: non si limita ad un approccio più equo alle questioni economiche (e finanziarie): ci chiede di cambiare il modo in cui pensiamo e pratichiamo la produzione e il consumo. Sta ricostruendo le filiere produttive a livello locale, democratico, equo e sostenibile ricostruendo valore e valori, a partire dalla fiducia. E’ un atto politico, al servizio della società e del bene comune.

Info sul sito al sito del progetto SUSY – SUstainable and Solidarity economY. Per scaricare la sintesi ragionata del Rapporto in Italiano vai qui. Presto sarà disponibile anche l’intera traduzione del rapporto in inglese ed italiano.




27/04/2017

da www.comune-info.net

I commenti sono chiusi.