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RIDUZIONE DELL’ORARIO DI LAVORO E CONVERSIONE ECOLOGICA

Street-Art-In-Berlin-BLU-3-700x463di Francesco Gesualdi

Ci troviamo in una situazione paradossale, con una quantità sempre più crescente di disoccupati. Persone disperate alla ricerca, in realtà, di un reddito più che di un lavoro. Eppure di lavoro ne avremmo fin troppo, soprattutto in una serie di ambiti che vanno a vantaggio della collettività. Basta distribuirlo meglio. Il lavoro lo deve creare anche la collettività, lo stato e gli enti locali; per la cura dei beni comuni e del territorio, per il potenziamento dei servizi alla persona.

 

La disoccupazione è ormai un’emergenza sociale. Nell’Unione Europea i senza lavoro sono 28 milioni, con punte drammatiche fra i giovani che contano addirittura 94 milioni di Neet, giovani che né lavorano né studiano. Quanto all’Italia, fra ufficiali, scoraggiati e cassaintegrati i disoccupati sono ormai 7 milioni. La disoccupazione può essere risolta. Basta volerlo. Ma prima di passare in rassegna alcune soluzioni possibili, bisogna ammettere di trovarci in una situazione paradossale. Il lavoro è anche sinonimo di fatica, se venisse un marziano sulla Terra potrebbe ben dire di trovarsi su un pianeta dove la gente se non fatica si butta dal balcone. Ma noi sappiamo che non vogliamo un lavoro per faticare. Forse per realizzarci. Ma a gratis non faremmo neanche quello. In realtà lo pronunciamo lavoro, ma intendiamo dire salario. Se cerchiamo lavoro con tanta angoscia è perché viviamo in un sistema che ci indica il mercato come unica via per soddisfare i nostri bisogni. Ma il suo inconveniente è che esige denaro, perché il mercato non regala ma vende. E per noi, senza beni al sole, né conti in banca, l’unico modo per ottenere denaro è vendere il nostro lavoro. Perciò lo ricerchiamo con tanta angoscia. E presi dall’emergenza ci adattiamo a tutte le condizioni imposte dal sistema fino ad assimilarne totalmente le sue logiche.

Ma la buona politica è quella che sa trovare soluzioni ai problemi immediati nel solco di un progetto di trasformazione per un mondo migliore. Fino ad oggi abbiamo permesso alla società dei mercanti di garantire il superfluo a pochi e negare il necessario a molti nella devastazione ambientale. Ora dobbiamo costruire la società dell’armonia che garantisce una vita dignitosa a tutti nel rispetto dei limiti del pianeta. Gli indigeni delle Ande la chiamano società del benvivere ricordandoci che la buona vita non è fatta solo di cose, ma soprattutto di relazioni, tempi, contesti. Per cui dobbiamo tenere tutto in equilibrio. In questa prospettiva anche il lavoro deve trovare la sua armonia. E se da una parte deve essere garantito a tutti come mezzo di inclusione sociale e di realizzazione personale, dall’altra deve assumere la giusta forma ed occupare il giusto tempo per conciliarsi con tutte le esigenze che abbiamo come persone da un punto di vista individuale, familiare, sociale, ambientale. Solo in un progetto di armonia, il lavoro perde i connotati di sfruttamento e abbrutimento per trasformarsi in strumento di elevazione umana. Con uno slogan potremmo dire che «bisogna lavorare per vivere, non vivere per lavorare». Ed oggi che le macchine fanno molti lavori al nostro posto, la via per garantire lavoro a tutti non è la crescita di produzione e consumi, ma la riduzione dell’orario di lavoro. Nel 1930, Keynes ipotizzava per i nostri tempi una settimana lavorativa di quindici ore. Invece siamo ancora a quaranta e ci dicono che dobbiamo farne di più per costare di meno.

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Un altro passaggio fondamentale per creare occupazione di qualità è la conversione ecologica. Ad esempio se ci orientassimo verso il risparmio di materie prime vergini e ci ponessimo l’obiettivo di passare dai combustibili fossili alle fonti energetiche rinnovabili potremmo creare in ogni nazione centinaia di migliaia di posti di lavoro. I soldi che oggi destiniamo agli inceneritori e alle discariche potremmo impiegarli per assumere persone che si dedicano alla raccolta differenziata, al recupero di materiali, al riciclo. Il risultato sarebbe nuova occupazione, riduzione delle importazioni, difesa della salute. Parimenti un programma di trasformazione energetica votato al solare e all’eolico creerebbe migliaia di nuovi posti di lavoro nelle industrie manifatturiere di settore.

Varie associazioni italiane ed europee, fra cui molte organizzazioni sindacali, hanno lanciato un’iniziativa cittadina europea, denominata New Deal 4 Europe, per chiedere all’Unione Europea di effettuare un massiccio piano di investimenti finalizzato alla ricerca e alla messa a punto di nuove tecnologie che rendano la produzione industriale più sostenibile. Certo per realizzare un tale progetto servono fondi, che però l’iniziativa propone di reperire attraverso l’introduzione di due nuove tasse di grande beneficio ambientale e sociale. La prima, la Carbon Tax, per scoraggiare l’uso dei combustibili fossili. La seconda la Tobin Tax per combattere l’espansione nociva della finanza. Ma quando parliamo di occupazione non dobbiamo pensare che il lavoro lo possano creare solo le imprese private. Il lavoro lo può e lo deve creare anche la collettività, ossia lo stato e gli enti locali, per la cura dei beni comuni e del territorio, per il potenziamento dei servizi alla persona. Ovunque ci giriamo troviamo bisogni da soddisfare: dal rifacimento degli argini dei fiumi, alla pulizia delle spiagge, dal consolidamento degli edifici pubblici, alla cura delle persone non autosufficienti, dal miglioramento dei servizi sanitari al potenziamento dei servizi scolastici.

Per risolvere tutti i nostri problemi collettivi servirebbero milioni di persone. Dunque non esiste un problema di lavoro, ma un problema di denaro. Il che chiama in causa altri due temi: il debito pubblico e la Banca Centrale Europea. Mentre il debito va risolto cominciando a dire che non devono pagare solo i cittadini, ma anche i creditori, la Banca centrale europea va riformata in modo da garantire ai governi tutto il denaro che serve per la piena occupazione e il potenziamento dei servizi pubblici. Cambiare rotta è possibile, ma solo se l’Europa passa da un’anima mercantile a un’anima sociale. Una trasformazione che può avvenire solo con l’impegno di tutti.

13/05/2014

da www.comune-info.net

 

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