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IN NOME DELLA SICUREZZA

25 aprile 2016

ido1di Rosaria Gasparro*

In nome della sicurezza abbiamo costruito muri, srotolato chilometri di filo spinato, respinto, lasciato nel fango bambini e anziani. In nome della sicurezza, stravolgiamo la vita dei nostri bambini nelle scuole. Proteggersi reciprocamente, rendere ogni luogo dimorabile: ribadiamo il primato dell’umano.

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In nome della sicurezza ci sono le sbarre alle finestre della scuola. Fa un po’ effetto cella ma nessuno protesta. I banchi allineati uno di fianco all’altro, disposti frontalmente alla cattedra, per sgombrare rapidamente in caso di emergenza, e lasciando la lezione come unica metodologia possibile. Le torte della mamma proibite per la sicurezza alimentare. Uscite a piedi nei dintorni, nella campagna vicina, impossibili: le norme sulla sicurezza chiedono un accompagnatore ogni quindici alunni e classi con questo numero non ce ne sono o sono rare, così come non c’è il doppio insegnante.

Per la sicurezza ricordiamoci non si corre nei corridoi, non ci si dondola sulla sedia, non si urla, non si schermano le finestre con stoffe non ignifughe, e se non ci sono, pazienza, si resta sotto il sole. In nome della sicurezza lo spazio si chiude, s’irrigidisce, la pedagogia si fa autoritaria e il semplice spostare i banchi per lavorare in gruppo o il mangiare la marmellata di ciliegie fatta in casa, diventano atti potenzialmente pericolosi che mettono a rischio l’incolumità dei bambini.

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In nome della sicurezza abbiamo chiuso persone, costruito muri, srotolato chilometri di filo spinato, respinto, lasciato nel fango bambini, donne, anziani. La sicurezza (dal latino “sine cura”: senza preoccupazione) è diventato il valore assoluto in nome del quale stiamo accettando di perdere diritti e libertà, di cedere il controllo delle nostre esistenze, alimentando ciò che si vorrebbe eliminare, quindi la preoccupazione, la percezione del rischio, la paura e la sensazione di un pericolo incontrollabile. In nome della sicurezza cambiamo il nostro modo di abitare i luoghi, di stare al mondo, modifichiamo il nostro essere umani.

Vogliamo essere preservati dal male, salvati, liberati. Ma agli altri neghiamo l’accesso alla salvezza. Idomeni è la negazione del mondo che verrà. Della pace di un pezzo vecchio di mondo, recintata e lacrimogena. A(r)mata. Scriveva Martin Heidegger: “Abitare, esser posti nella pace, vuol dire: rimanere nella protezione entro ciò che ci è parente (Frye) e che ha cura di ogni cosa nella sua essenza… Abitare è il soggiornare dei mortali sulla terra, una ‘appartenenza alla comunità degli uomini’”.

Ogni abitare rende la misura dell’umano, del costruire dimore aperte o del distruggerle. Proteggersi reciprocamente, prendersi cura, coltivare la fiducia, unitamente alla libertà e alla sicurezza, per salvarsi insieme: questa è l’essenza dell’abitare, rendere ogni luogo dimorabile, diventare testimoni viventi di un sentimento che ci connette con gli altri. Ribadiamolo il primato dell’umano, diffondiamolo, difendiamolo. Nel tempo della furia calcolante, facciamone la misura necessaria. Il nostro contrappasso all’indifferenza.

* maestra

16/04/2016

da www.comune-info.net

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