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CREARE COMUNITA’, COLTIVARE BUEN VIVIR

24 marzo 2016

di Tavolo RES11154784_10206182131465987_277785120363015122_o

A più di venti anni dalla nascita del primo Gruppo di acquisto solidale (1994), ed oltre dieci anni dal lancio della proposta di una Rete Italiana di Economia Solidale (2002), occorre riconoscere che il mondo delle alternative è costituito da un arcipelago di soggetti che fanno fatica a connettersi, a condividere un progetto di cambiamento, a fare sistema. Partiamo da questa constatazione  per affermare la necessità di un doppio movimento: condividere un orizzonte e creare Istituzioni di altra economia.

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Tanta strada dietro di noi, ma ancora molta davanti! A più di venti anni dalla nascita del primo Gruppo di acquisto solidale (1994), e dopo oltre dieci anni dal lancio della proposta di una rete italiana di economia solidale (2002), possiamo rallegrarci perché alcune nostre idee e comportamenti hanno effettivamente contribuito a migliorare la vita di molte persone. D’altra parte, non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla cooptazione di nostre proposte e contenuti da parte del mercato, al persistere della crisi di questo modello di sviluppo e, contemporaneamente, allo sfilacciamento delle reti sociali ed ecologiche. Da qui la necessità di una revisione profonda del nostro modo di operare.

Ines 2014 e 2015

Le due ultime edizioni dell’incontro nazionale di economia solidale (Ines), prima a Collecchio (2014) e poi a Trieste (2015), rivolte prima di tutto al mondo delle buone pratiche e ai promotori di economia altra, avevano rispettivamente come slogan:“Un colpo d’ali”, e con ciò l’invito a guardare oltre, ad ampliare l’orizzonte dello sguardo e dell’agire; “Sconfinamenti”, ossia l’invito a rompere gli steccati delle proprie “riserve indiane” per decolonizzare sia il mondo dell’economia solidale, che quello a noi esterno più che mai egemonizzato dal “pensiero unico”.

11538973_10207513263983468_5331352886784487812_oEntrambi questi inviti partivano da una constatazione: mentre l’ideologia neoliberista ha creato proprie grandi Istituzioni che sostengono l’egemonia teorica e pratica della mercatizzazione del mondo (Università, sistema finanziario, governi, Banca Mondiale, ecc.), il mondo delle alternative è costituito da un arcipelago di soggetti che fanno fatica a connettersi, a condividere un progetto di cambiamento, a fare sistema. Partendo da questa constatazione ci si è resi conto che occorre fare un doppio movimento: condividere un orizzonte e creare Istituzioni di altra economia.

Condividere un orizzonte

Ci sembra che la base di partenza per la definizione di un orizzonte comune sia ben sintetizzata da quanto Roberto Mancini ha proposto anche in nostre sedi di riflessione: “[…] ciò che chiamiamo “altra economia”, nella ricchezza delle sue teorizzazioni e sperimentazioni, è a mio avviso la determinazione fedele di una visione radicale e globale della democrazia […]. Alludo a una pluralità di valori, criteri e regole capaci di ispirare i necessari processi di liberazione per tutti quelli che oggi, nella società della globalizzazione del capitale e della disperazione, non hanno un posto dove andare né qualcuno disposto a prendere sul serio la loro dignità”[1].

Su tale base, come nella conclusione del suo intervento all’assemblea di Rees Marche di giugno 2015: “Possiamo agire in un altro modo che non sia alimentare questo sistema: se si ritiene indegno arrendersi, se si conta sulla dignità e stima di sé, possiamo scoprire nuovi frutti: primo la solidarietà, cioè un mondo comune con gli altri; secondo la generatività, cioè la possibilità di far crescere una realtà più autentica; terzo la coralità da cui nessun essere vivente è escluso. Questa è la profezia che è dentro l’altraeconomia: la fede nella realtà come comunione”[2].

11208632_10207728656408144_7605664453086517138_nCreare istituzioni di altra economia

Dopo oltre vent’anni, per lo più spesi per sviluppare nei diversi territori tante e diverse buone pratiche di economia solidale, abbiamo sviluppato la consapevolezza che questo variegato arcipelago di iniziative potrà dar vita a un sistema socioeconomico diverso solo se saprà creare comunità. Comunità intesa come luogo in cui sperimentare patti fiduciari e relazioni forti, in cui sperimentare il fare e l’essere insieme, un luogo dove le attività economiche abbiano una funzione di servizio e supporto per rafforzare le relazioni fiduciarie e solidaristiche fra cittadini.

Un cambio di visione

Tenendo conto di quanto sopra siamo giunti alla conclusione che i processi attraverso cui ogni gruppo, piccolo o grande, ha portato e porta avanti i propri obiettivi, i propri progetti, le proprie pratiche, non possano essere considerati sufficienti, per quanto importanti. Ci è chiesto di evolvere, di guardare oltre, di imparare a pensare, agire, essere e lavorare insieme! Insieme come contesto in cui collocare i progetti e le prassi di ciascuno. A tal fine, partendo da dove siamo arrivati e da quanto costituisce il nostro patrimonio, riteniamo necessario ridefinire l’economia solidale usando il parametro della “costruzione di comunità” per ridare credibilità e spessore alla parole chiave fondamentali: solidarietà, reciprocità e fiducia.

Alcuni nodi

Tutto ciò rende necessaria una riflessione sui comportamenti di molti soggetti che operano nel contesto dell’economia solidale e, purtroppo, dobbiamo prendere atto che le nostre pratiche non sono più sufficienti. In cosa consiste l’alternativa al mercato? Quale modello proponiamo? Per cosa e come costruiamo un’alternativa che abbia anche spessore storico, scientifico, culturale e capacità comunicative?

  • Siamo arrivati alla rete sia come scelta metodologica che reagendo alla sfiducia nelle associazioni nazionali (strutture gerarchiche, finanziamenti compromissori, …). Sembrava che la rete fosse, di per sé, la soluzione di fronte alla crisi dei partiti e della partecipazione, e le buone prassi la strada per uscire dal senso di impotenza. L’alternativa si costruiva sulle pratiche, condivise all’interno delle reti. Queste però non hanno avuto lo stesso effetto empatico che hanno avuto in altri paesi del sud del mondo. Le sole pratiche ora rischiano di alimentare la contrapposizione tra individualismo e settarismo o di far cadere nello “scandalo della delusione” [3].
  • Abbiamo perso di vista i movimenti sociali: dobbiamo ricercarne i germi, stare insieme a quelli che stanno costruendo “comunità”, occupandoci quindi anche della sostenibilità antropologica della transizione. Si avverte la mancanza di aggregazione come un vuoto e si può pensare che possa essere colmato con la sola organizzazione e/o con altre associazioni. Raccogliamo i germi dell’azione comune e avviciniamo le realtà che ne sono portatrici, impariamo a cooperare.
  • Interroghiamo il nostro vissuto personale e la nostra storia e chiediamoci quanta complicità ancora ognuno/a di noi ha con il sistema; indaghiamo quanto i nostri stessi paradigmi culturali, sebbene propensi verso l’alternativa, di fatto ci fanno agire con le stesse modalità individualistiche e di personale interesse, che sono alla base del sistema neoliberale; chiediamoci come costruiamo le nostre relazioni solidali e quanta capacità abbiamo di collettivizzare il nostro personale in termini di competenze, conoscenze, tempo e risorse.
  • Analizziamo come agiamo il nostro potere e quanto ciò che facciamo genera libertà [4] per altri/e.

foto-FieraC’è bisogno di cambiare

C’è bisogno di lavorare insieme affinché, attraverso il contributo di tutti, possa essere avviata un’evoluzione, una trasformazione generativa di quanto stiamo facendo: pensarci e lavorare “insieme”, contribuire a creare buen vivir, una vita diversa e una società sostenibile, con un’economia che sostiene la società e tutela gli equilibri naturali “[…] non più secondo il paradigma della produzione e del consumo in vista dell’accumulazione, bensì secondo il paradigma della cura del bene comune”[5].

C’è bisogno di uno sforzo per caratterizzare bene e riempire di vita le parole su cui abbiamo fondato il nostro operare, come “solidarietà, fiducia, relazione, comunità…”, ricordandoci che in una realtà comunitaria non tutti fanno le stesse cose, non c’è lo stesso livello di coinvolgimento, non si è allo stesso punto, non la si pensa su tante cose allo stesso modo; però si è solidali, ci si confronta e ci si aiuta, si è rispettosi e collaborativi. Ma c’è bisogno anche di aggiungere nuove parole e di intraprendere nuovi percorsi, inesplorati, confrontandoci con i germi trasformativi che sono accanto a noi; aperti alla ricerca di equilibri diversi e pronti ad affrontarne le contraddizioni e i conflitti.

[1] Per l’intervento completo vedi qui.

[2] Per l’intervento completo vedi qui.

[3] Da Mancini R., “Trasformare l’economia”, FrancoAngeli 2014.

[4] Ciò include anche il concetto di capabilities di Amartya Sen.

[5] Da Mancini R., “Ripensare la sostenibilità”, FrancoAngeli 2015.

da www.economiasolidale.net

 

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