CAMBIARE ROTTA PER SALVARE IL PIANETA

23 luglio 2015

di Naomi KleinGHH

Il 1° luglio si è svolta la conferenza stampa di presentazione del Convegno “Le persone e il pianeta al primo posto: l’imperativo di cambiare rotta” (all’Augustinianum a Roma, 2-3 luglio), organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e dalla Cidse (rete internazionale di ong cattoliche per lo sviluppo), durante la quale è intervenuta Naomi Klein. Pubblichiamo il suo intervento, tradotto e pubblicato da Adista.


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Grazie. È un onore essere qui oggi e specialmente condividere questa tribuna con il cardinal Peter Turkson che ha fatto così tanto per condurci a questo momento storico. Papa Francesco all’inizio della sua enciclica Laudato Si’ (qui l’analisi di Paolo Cacciari scritta per Comune-info, Il Cantico che non c’era) scrive che questa non è un insegnamento rivolto al mondo cattolico ma a «ogni persona che vive su questo pianeta». Da laica ebrea femminista, piuttosto sorpresa di essere stata invitata in Vaticano, posso dire che certamente parla a me. «Non siamo Dio» dichiara l’enciclica. Tutti gli esseri umani lo sanno. Ma circa 400 anni fa, vertiginose scoperte scientifiche hanno fatto pensare a qualcuno che l’umanità fosse sul punto di sapere tutto ciò che c’era da sapere sulla Terra e che quindi fosse “maestra e padrona” della natura, come Cartesio ha mirabilmente detto. Questo, dicevano, è ciò che Dio ha sempre voluto. Questa teoria si è mantenuta in vita per molto tempo. Ma scoperte scientifiche più recenti ci hanno rivelato qualcosa di molto diverso. Perché mentre bruciavamo sempre più combustibili fossili – convinti che le nostre navi container e i nostri jumbo jet avessero livellato il mondo, che noi fossimo dei – i gas a effetto serra si stavano accumulando nell’atmosfera trattenendo incessantemente calore.

E ora siamo posti di fronte alla realtà: non siamo mai stati né maestri né padroni e stiamo scatenando forze naturali di gran lunga più potenti delle nostre macchine più ingegnose. Possiamo salvarci, ma solo se abbandoniamo il mito del dominio e del possesso e impariamo a lavorare con la natura, rispettando la sua intrinseca capacità di rinnovamento e rigenerazione. E questo ci conduce al cuore del messaggio dell’interconnessione al centro dell’enciclica. Ciò che il cambiamento climatico ribadisce – per quella minoranza dell’umanità che lo avesse dimenticato – è che non esiste un rapporto a senso unico di puro dominio nella natura. Come scrive papa Francesco, «niente di questo mondo ci risulta indifferente». Per coloro che vedono l’interconnessione come una degradazione cosmica, questo è troppo da sopportare. E così – incoraggiati attivamente dagli attori politici sostenuti dalle compagnie di combustibili fossili – scelgono di negare la scienza.

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Ma questo sta cambiando, come cambia il clima. E cambierà ancora di più con questa enciclica. Questo potrebbe significare guai seri per i politici statunitensi che fanno affidamento sull’uso della Bibbia come copertura per la loro opposizione ad agire in difesa dell’ambiente. In questo senso, il viaggio di papa Francesco negli Stati uniti nel prossimo settembre non poteva cadere in un momento migliore. Tuttavia, come sottolinea l’enciclica, la negazione assume tante forme. E ci sono molti politici ovunque nel mondo che accettano la scienza ma rifiutano le sue difficili implicazioni. Ho passato le ultime due settimane leggendo centinaia di commenti all’enciclica. E anche se la risposta è stata positiva, ho notato un argomento comune tra i suoi critici. Papa Francesco può anche avere ragione sulla scienza, dicono, e anche sulla morale, ma deve lasciare l’economia e la politica agli esperti. Sono loro gli unici ad avere le competenze in materia di commercio del carbonio e privatizzazione dell’acqua, ci dicono, e su come il mercato possa efficacemente risolvere ogni problema.

Sono fortemente in disaccordo. La verità è che siamo arrivati a questo punto – pericoloso – anche perché molti di questi esperti ci hanno deluso, usando le loro potenti competenze tecnocratiche senza saggezza. Hanno prodotto modelli in cui i valori della vita umana sono considerati poco e niente, in particolare la vita dei poveri, pensando solo alla protezione dei profitti delle imprese e alla crescita economica. Questo deformato sistema di valori ci ha condotto a un mercato del carbonio inefficace anziché a forti tassazioni sui combustibili fossili. E così siamo arrivati a porci come obiettivo un aumento delle temperature non superiore ai 2 gradi centigradi, che potrebbe comportare la sparizione di intere nazioni, solo perché i loro Pil non erano abbastanza alti. In un mondo in cui il profitto è costantemente messo al primo posto, prima delle persone e del pianeta, l’economia climatica ha a che fare con la morale e l’etica. Perché se concordiamo nel dire che mettere in pericolo la vita sulla Terra è una crisi morale, allora è nostro dovere agire. Questo non significa scommettere sui cicli di espansione e frenata del mercato nel futuro. Significa politiche che regolino direttamente quanto carbonio può essere estratto dalla terra. Significa politiche che ci portino al 100% di energie rinnovabili in 20-30 anni, non entro la fine del secolo. E significa condivisione di risorse comuni – come l’atmosfera – sulla base della giustizia e dell’equità, non che i vincitori si prendono tutto.

Ecco perché un nuovo tipo di movimento per il clima sta rapidamente emergendo. Esso è basato sulla verità più coraggiosa espressa nell’enciclica: che il nostro attuale sistema economico sta alimentando la crisi climatica e ci impedisce di prendere i provvedimenti necessari per contrastarla. Un movimento fondato sulla consapevolezza che se non vogliamo che il cambiamento climatico ci sfugga di mano, allora dobbiamo cambiare il sistema. E siccome il nostro attuale sistema sta anche alimentando disuguaglianze crescenti, abbiamo la possibilità di risolvere insieme molteplici, sovrapposte crisi. In breve, possiamo passare a un’economia allo stesso tempo più sostenibile e giusta. Questa crescente consapevolezza è alla base delle sorprendenti e improbabili alleanze cui stiamo assistendo. Come, per esempio, me in Vaticano. Come sindacati, indigeni, gruppi di fedeli e ambientalisti che lavorano a stretto contatto insieme come mai prima. All’interno di queste coalizioni non siamo d’accordo su tutto – neanche per idea! – ma ci rendiamo conto che la posta in gioco è così alta, il tempo così poco e l’impegno così grande che non possiamo lasciare che queste differenze ci dividano. Quando 400mila persone hanno marciato per la giustizia climatica a New York nel settembre scorso, lo slogan era “Per cambiare tutto, abbiamo bisogno di tutti”.

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Tutti significa anche i leader politici, naturalmente. Ma avendo partecipato a molti incontri con i movimenti sociali in vista della Cop21 di Parigi, posso dire questo: non possiamo sopportare un altro fallimento presentato come un successo ai media, per poi vedere, a distanza di una settimana, quegli stessi politici tornare a estrarre petrolio nella regione artica, a costruire più autostrade e a fare nuovi accordi commerciali che rendono più difficile regolare chi inquina. Se non si riesce a ottenere una immediata riduzione delle emissioni provvedendo a reali e sostanziali aiuti per i Paesi poveri, allora lo si dovrà presentare come un fallimento. Quale sarebbe. Ciò che dobbiamo sempre ricordare è che non è troppo tardi per invertire la rotta – quella che ci sta portando verso un aumento di 4 gradi centigradi. È ancora possibile limitare il riscaldamento entro la soglia del grado e mezzo se facciamo di questo obiettivo la nostra priorità collettiva. È difficile, questo è certo. Difficile quanto il razionamento e le riconversioni industriali fatte in tempo di guerra. Ambizioso come i programmi di lavori pubblici e di lotta alla povertà lanciati in seguito alla Grande Depressione e alla Seconda Guerra Mondiale.

Ma difficile non significa impossibile. E rinunciare di fronte a un compito che potrebbe salvare molte vite e prevenire molta sofferenza solo perché è difficile, costoso e richiede sacrifici da parte di chi più può permettersi di fare a meno di qualcosa, non è pragmatismo. È la resa più vile. E non c’è analisi costi-benefici nel mondo capace di giustificarla. «Non lasciate che la perfezione sia nemica del bene». Sono 20 anni che sentiamo ripetere queste parole. E ogni volta che un nuovo summit delle Nazioni Unite non riesce a raggiungere politiche coraggiose, vincolanti e basate sulla scienza, lanciando invece promesse vuote di aiuti economici, le sentiamo di nuovo. «Sicuramente non è abbastanza ma è un passo nella giusta direzione». «Faremo il lavoro più difficile la prossima volta». E ancora: «Non lasciate che la perfezione sia nemica del bene». Questo, va detto dentro queste sacre mura, è puro nonsense. La “perfezione” non è più di questo mondo dalla metà degli anni ’90, dopo il primo summit sulla Terra di Rio. Oggi abbiamo solo due strade davanti a noi: una difficile ma giusta e l’altra facile ma riprovevole.

Ai nostri cosiddetti leader che stanno preparando i loro impegni per la Cop21 di Parigi, imbellettando un altro pidocchioso accordo, voglio dire questo: leggete l’enciclica di papa Francesco, non il suo sommario ma tutta. Leggetela e lasciate che pervada i vostri cuori. Il dolore per ciò che abbiamo già perso e la celebrazione di ciò che possiamo ancora proteggere e aiutare a prosperare. Ascoltate, poi, le voci delle centinaia di migliaia di persone che durante il summit percorreranno le strade di Parigi e di tante città del mondo. Questa volta diranno qualcosa di più di “dobbiamo agire”. Diranno: stiamo già agendo. Siamo la soluzione: con le nostre richieste che le istituzioni disinvestano dalle compagnie di combustibili fossili e investano invece in attività che riducano le emissioni. Coi nostri metodi di coltivazione ecologica, che fanno meno affidamento sui combustibili fossili, fornendo cibo sano e lavoro. Con i nostri progetti di energia rinnovabile controllati a livello locale, che stanno riducendo le emissioni, abbassando i costi e definendo l’accesso all’energia come un diritto. Con la nostra richiesta di mezzi pubblici affidabili e convenienti, se non gratuiti, che farebbero sì che lasciassimo le nostre automobili che inquinano le nostre città, congestionano le nostre vite, ci isolano gli uni dagli altri. Con la nostra insistenza senza compromessi sul fatto che non ci si può definire leader climatici mentre si aprono strade per nuove trivellazioni, fracking e miniere negli oceani o sulla terra. Con la nostra convinzione che non ci si può definire democrazie se si è legati a multinazionali inquinanti. Ovunque sul pianeta, il movimento per la giustizia climatica sta dicendo: guardate il bellissimo mondo che sta al di qua di queste politiche coraggiose, i cui semi stanno già dando frutti che chiunque abbia voglia di guardare può vedere. Smettete di fare del difficile il nemico del possibile. E unitevi a noi per rendere il possibile reale.

2/07/2015

da www.adista.it

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